La fine dell’economia illusoria

 

Di Carlo Pelanda

 

 

Nella politica italiana sta succedendo qualcosa di molto importante e che non va banalizzato: la fine dell’economia delle illusioni proposta dalla sinistra. Il Partito democratico, infatti,  esprime un’offerta politica dove sono spariti tutti i temi classici e forti della “sinistra economica”, anzi la sua stessa filosofia irrealistica basata sull’idea che lo Stato possa creare ricchezza e che il mercato debba dare garanzie. L’importanza è data dal riconoscimento, finalmente, della realtà: il mercato produce ricchezza, lo Stato deve fornire garanzie. La competizione politica è tra chi offre credibilmente una politica economica basata su il miglior mix tra i due. Dove per “giusto mix” si intende un equilibrio tra creazione della ricchezza (che richiede libertà economica) e sua diffusione sociale (che richiede istituzioni di garanzia redistributiva). In sintesi, a sinistra è avvenuto il riconoscimento che non sono possibili due economie, ma una sola basata sul mercato. Poi di questo fatto riconosciuto ci può essere un’interpretazione un po’ più solidarista o un po’ più liberista, ma senza più la negazione del fatto stesso. Tale novità fa ben sperare per il rilancio futuro dell’economia italiana compressa e ingabbiata fin dal lontano 1963 quando il modello nazionale fu influenzato dallo statalismo illusorio.

La svolta della sinistra italiana, per altro, viene con molto ritardo. Negli anni ’90 Tony Blair fece lo stesso caricando di liberalismo economico, e capacità di governare realisticamente, il Partito laburista inglese. Ancor più significativo, perché situazione più simile al caso italiano, è stata la riforma “centrista e pragmatica” del Partito socialdemocratico tedesco. Nel 2005 il suo leader Schroeder avrebbe potuto formare una maggioranza con l’estrema sinistra e restare Cancelliere. Ma preferì dimettersi e accettare un governo di grande coalizione con i democristiani per non trovarsi costretto a governare sotto il ricatto della sinistra illusoria perché sapeva che ciò avrebbe portato al disastro economico. Esattamente ciò che è successo a Prodi che, invece, scelse di governare con gli estremisti. In tal senso la scelta di Veltroni può dirsi necessaria: se non si pratica la sola economia possibile si fallisce e si mette a rischio la nazione. Ma quale vantaggio reale avranno gli italiani dal nuovo realismo della sinistra? Se sarà all’opposizione difficilmente questa sarà fanatica e militare, se andrà al governo da sola per lo meno non sarà socialista e fiscalmente oppressiva. Inoltre potrà, in caso di emergenza nazionale, governare assieme al centrodestra perché non c’è più una diversità tale da impedirlo. Ovviamente questa buona prospettiva è minata da dubbi in quanto le stesse persone che militano nel Partito democratico sono state quelle che hanno sostenuto il governo Prodi e compromessi dannosi con l’estrema sinistra a danno del ceto produttivo e della capacità di spesa delle famiglie. Inoltre è comprensibile qualche perplessità sul tasso di liberalismo e realismo in chi per tutta la vita ha perseguito visioni socialiste, e perfino comuniste, o non ha avuto problemi ad accordarsi con esse. Ma tali dubbi - che portano chi scrive a schierarsi in modo convinto con il Popolo della libertà -  non devono nascondere la prospettiva di un cambiamento epocale nella sinistra italiana e un conseguente spostamento del modello economico nazionale verso la giusta via. E finalmente anche il centrodestra sente una concorrenza per produrre un liberalismo e una formula di “giusto mix” più robusti.

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